L'organizzazione
delle altezze
nello
Studio per pianoforte n. 3
di T. Hosokawa
© Fabio
Grasso, 2023
PANORAMICA
La
produzione del compositore giapponese Toshio Hosokawa (1955) poggia su basi concettuali profondamente
radicate nelle tradizioni culturali della sua terra d'origine.
La formazione
tecnico-compositiva di stampo europeo fa sì che la
sua opera venga considerata come un interessante momento di fusione fra il
pensiero orientale e quello occidentale.
L'estetica
del vuoto informa di sé vasti settori dell'arte giapponese, incidendo in primis
sull'ambito figurativo-visuale. La sapiente cura dei
vuoti ne esalta la natura di dilatati spazi vitali funzionali alla prorompente
emersione di pieni luminosamente stagliati nelle loro apparizioni tanto
rarefatte quanto impattanti. Su tale contrasto dialettico vivono ad esempio le
calligrafie, da cui Hosokawa trae dichiaratamente
ispirazione per il terzo dei Sei Studi per pianoforte, completati nel 2013, una
delle incarnazioni musicali più efficaci di quell'opposizione
polare.
Il vuoto
in musica è ovviamente rappresentato dal silenzio; ma più specificamente in
questo breve brano il vuoto è la risonanza lieve e prolungata che col silenzio
confina, frutto del protrarsi di note singole che sopravvivono all'estinzione
immediata di forti accordi staccati, o di armonici fatti vibrare tramite
l'abbassamento muto di determinati tasti, combinato con i violenti sforzati e
le sferzanti figurazioni che erompono ad effimero riempimento dello spazio
sonoro, come lampi nelle tenebre.
La
lunghezza delle tenui risonanze è accuratamente indicata da corone di diverso
tipo, vale a dire normali, lunghe e brevi, ulteriormente diversificate dal
raddoppio di alcune di esse. La libertà di prolungamento è maggiore nella prima
delle due macrosezioni del brano, mentre tende a ridursi nella seconda parte,
caratterizzata da una velocità metronomica
leggermente più alta e da un conteggio più rigoroso su fermate meno lunghe,
anche nel contesto di una metrica più variata: se delle 16 battute della prima
parte solo la 10 abbandona il 3/8 di base riducendolo a 2/8, le 14 battute
della seconda parte alternano frequentemente il metro ternario con quello
binario (o quaternario in un unico caso), secondo la seguente successione, da b. 17 a b.30:
3-2 / 3-2
/ 3-3 / 3-2 / 3-4 / 3-3 / 2-3
Ragionando
per coppie di battute si può notare come l'oscillazione delle durate fra i
valori 5 e 7 possa in qualche modo ricordare lo schema sillabico 5-7-5 tipico
dell'haiku, il componimento poetico tradizionale
giapponese che Hosokawa cita esplicitamente, insieme
alla calligrafia, nel sottotitolo del brano, che senza dubbio dell'haiku riproduce anche l'essenzialità e l'estrema concisione
aforistica.
Un buon
motivo per considerare le battute a due a due ci viene fornito dalla diversità
di funzione assegnata alle battute con numero dispari e a quelle con numero
pari: di norma il pieno sonoro cade sulla battuta dispari, di cui quasi sempre
occupa solo il primo tempo, mentre la battuta pari è dedicata al respiro del
vuoto, tutt'al più scandito da una propaggine che
sulla risonanza dell'evento precedente ne costituisce un'eco o un'estensione
operante da collegamento al pieno successivo (si vedano ad esempio le b. 8 e 12).
Una prima
eccezione a questo tipo di fraseggio si riscontra a b.
14, con l'anticipo dell'ultimo pieno della prima parte (il cluster
della mano destra), probabilmente dovuta all'esigenza di un vuoto più lungo (b. 15-16) a conclusione della sezione - è su questo
riverbero che si innesta l'unica nota del brano da suonare con dinamica pianissimo.
L'ordine
di fraseggio si inverte completamente da battuta 26, l'unica in 4/8: è come se
la comparsa della misura quaternaria generasse uno scompenso inatteso che ha
come ripercussione il rovesciamento della funzione fraseologica delle battute
restanti, nonché quello dell'alternanza dispari - pari sulle ultime due battute
- 29 e 30 costituiscono infatti l'unica coppia metricamente
eterogenea in cui la misura binaria precede la ternaria (2/8 per la b. 29, 3/8 per la 30). Così la seconda parte si chiude in
modo analogo alla prima, con l'ultimo pieno sulla terzultima battuta, e la
risonanza finale ad occupare le ultime due.
Abbiamo
fin qui delineato sommariamente l'impianto metrico-formale
in rapporto alla dialettica pieno-vuoto, considerando quindi in qualche modo la
"componente orientale" del pezzo. Risulta ben chiaro che si tratta di
una contestualizzazione a grandissime linee, ben
lontana da una disamina esaustiva del background culturale di riferimento, cosa
che peraltro non è affatto l'obiettivo di questo scritto. Rimandiamo
volentieri, per una trattazione specialistica di questo aspetto, agli atti di
un convegno organizzato sul tema dal Conservatorio B. Marcello e
dall'Università Ca' Foscari
di Venezia, pubblicati nel 2022, e comprensivi fra l'altro di uno specifico
approfondimento sul terzo Studio a cura della pianista e compositrice Letizia Michielon
Il volume
è liberamente scaricabile a QUESTO LINK
ANALISI
DELLE ALTEZZE
Ciò che
interessa qui analizzare più in dettaglio è l'impianto delle altezze, di
matrice decisamente occidentale, costruito su una logica essenzialmente
dodecafonica ben collaudata dai compositori europei eredi della Scuola di
Vienna, e qui rivisitata con un'impronta personale.
È ben noto
che nell'arco del secondo Novecento la rigida impostazione seriale della
dodecafonia viennese è affiancata o talora superata da approcci diversi, in
alcuni casi perfino più stringenti, ma in molte circostanze tendenzialmente più
flessibili; fra questi ultimi spicca senz'altro l'introduzione delle libere
permutazioni delle note all'interno dei blocchi dodecafonici (dodecafonia non
seriale), che trova ad esempio una delle prime e più sistematiche applicazioni
nel Klavierstück I di Stockhausen.
Hosokawa si
riallaccia qui a questo filone, non senza una certa raffinata ambiguità, capace
di suscitare interrogativi ai quali pare di poter dare risposte semplici, che
però in realtà necessitano sempre della precisazione di alcune sfumature.
Prima di
mostrare esempi musicali concreti proviamo a tratteggiare alcune linee guida
generali dell'analisi.
Innanzitutto,
come già detto, è innegabile che l'impianto delle altezze sia sostanzialmente
dodecafonico, ma è significativo che uno solo dei 6 blocchi di cui è costituito
il materiale può essere definito ordinariamente dodecafonico, cioè comprensivo
di 12 note senza alcuna ripetizione - si tratta del blocco 3, la cui ultima
nota è peraltro coincidente con la prima del blocco successivo, come da
consolidata prassi viennese.
Uno solo
degli altri blocchi (il n. 1) è difettivo, nel senso che contiene 11 suoni, con
omissione del Mi bemolle compensata dalla reiterazione del Mi.
Vi sono
poi tre blocchi ampliati (n. 2, 4, 5), che in aggiunta ai 12 suoni presentano
la ripetizione di uno di essi, in due casi in coda al blocco, nell'altro caso
al suo interno.
L'ultimo
blocco ha un'articolazione ben più complessa, nella quale possiamo scorgere una
sorta di compendio delle caratteristiche dei blocchi precedenti.
Apprestandoci
ad indagare sui criteri che possono essere alla base tali variegature della
dodecafonia canonica, possiamo chiederci se e fino a che punto i confini di
questi blocchi coincidono col sezionamento formale del pezzo: la risposta è
affermativa per quanto riguarda i blocchi 1-2-5-6, ma non per i blocchi 3-4,
sfasati rispetto ai segmenti in cui sono collocati. Possiamo così riassumere la
disposizione dei blocchi rispetto allo schema formale:
PRIMA
PARTE
- Segmento
1, b. 1-4 = Blocco 1
- Segmento
2, b. 5-8 = Blocco 2 + frammento iniziale del 3 (in
parte comune al 2)
- Segmento
3, b. 9-12 = Blocco 3 e parte del 4
- Segmento
4, b. 13-16 = Parte terminale del Blocco 4 e cluster estraneo ai blocchi
SECONDA
PARTE
Segmento
1, b. 17-20 = Blocco 5
Segmento
2, b. 21-30 = Blocco 6
Qualora
poi ci si domandasse se il brano è seriale o meno, un esame tradizionale delle sequenze
di note imporrebbe una risposta decisamente negativa, giacché per gran parte
dello Studio non vi è ombra di successioni dodecafoniche ordinate ricorrenti,
in un ambiente a forte connotazione permutativa.
Suggeriamo
però di osservare le due figurazioni consecutive alle battute 23-25, una
quintina e una settimina: oltre che per il summenzionato significato dei numeri
5 e 7 in relazione all'haiku, questo passaggio
sembrerebbe cruciale per un ben più elementare motivo, vale a dire la somma
5+7=12, coi due gruppi che qui espongono un totale dodecafonico pulito, senza
omissioni o ripetizioni. Siamo qui all'interno del Blocco 6, che come vedremo
in dettaglio più avanti è parcellizzato in varie enunciazioni parziali
affiancate a quella completa costituita dalla quintina e dalla settimina.
L'ordine dei suoni di tale enunciazione completa viene rispettato nelle
parziali successive, e già in qualche modo preconizzato dalla parziale
precedente. Potremmo quindi asserire che in questa sezione finale del brano si
assiste ad una serializzazione del materiale
dodecafonico; per di più l'enfasi metrico-ritmica con
cui questa "serie" viene proposta ci può indurre ad attribuirle una
centralità di ruolo, un'identità di fulcro generatore dell'intero tessuto
armonico dello Studio. D'altra parte il posizionamento di un nucleo
dodecafonico originante non già all'inizio di una composizione bensì in uno
snodo strutturale della sua porzione conclusiva non costituirebbe certo una
novità; in ambito pianistico il pensiero non può che correre immediatamente
alle Variazioni op. 27 di Webern, in cui la serie
originale compare per la prima volta, scoperta nella sua scheletrica evidenza,
solo all'inizio dell'ultimo movimento - si veda in proposito, all'interno di
questo sito, il SAGGIO MULTIMEDIALE dedicato al trttico pianistico weberniano.
Osserviamo
dunque questa possibile fonte originaria del materiale:
Figura 0
I 12 suoni
sono chiaramente divisi in 4 tricordi di due diversi tipi:
- Tricordo di tipo A (suoni 1-2-3, 4-5-6, 10-11-12), i cui
suoni estremi sono a distanza di quinta giusta, e il cui suono centrale si
trova un semitono sotto l'estremo superiore.
- Tricordo di tipo B (suoni 7-8-9), i cui suoni sono tutti a
distanza di un tono l'uno dall'altro.
Questi
tricordi costituiscono le cellule base del tessuto armonico generale, e questa
loro successione AABA ricorre con notevole frequenza nei vari blocchi.
Si
potrebbe dunque parlare di una tendenza alla serialità
non per singole note ma per cellule, con diversificazioni morfologiche delle
cellule stesse, con trasposizioni variabili all'interno dello stesso blocco, e
con libere permutazioni delle note all'interno delle cellule - fra l'altro
trattandosi spesso di accordi i criteri permutativi sono spesso tanto
indeterminabili quanto irrilevanti.
Vediamo
ora in dettaglio come vengono utilizzati le cellule-tricordo,
blocco per blocco.
Premettiamo
subito che la nota centrale di un tricordo A può
essere collocata un semitono sotto l'estremo superiore, come nella serie
generatrice, e in tal caso parleremo di tricordo di
tipo A-S; ma essa può anche trovarsi un semitono sopra l'estremo inferiore,
circostanza per la quale useremo l'indicazione A-I.
Ecco
quanto succede nel primo blocco:
Figura 1
Un'anomalia
appare immediatamente evidente: il secondo tricordo A
è variato (Av) per via della sostituzione del Mi
bemolle con il Mi naturale (si noti che in questi esempi le note reiterate, come
in questo caso il Mi, vengono indicate da una punta di freccia rivolta verso il
basso in caso di blocco difettivo, oppure da una doppia punta in caso di blocco
ampliato). Questa sostituzione dà origine a un tricordo
A morfologicamente modificato, la cui estensione complessiva è una quarta
giusta anziché una quinta giusta, in questo caso Mi-La, col Sol diesis come
nota centrale, un semitono sotto l'estremo superiore; indicando quindi con A_
il tricordo modificato avremo in questo caso A_-S.
Facciamo notare che questo tipo di tricordo alterato
si riscontra solo due volte, una nel Blocco 1 e una nel Blocco 5.
Per capire
la ragione della soppressione del Mi bemolle, analizziamo il Blocco 2:
Figura 2
Ancora una
volta il Mi bemolle sembra non arrivare, mentre qui è il La ad essere
reiterato. Ma a differenza del Blocco 1, in cui le note risonanti fanno parte
dei due esacordi sforzati (La - Si bemolle), nel Blocco 2 le note risonanti
sono percosse al di fuori degli sforzati, rispettivamente un pentacordo e un
esacordo. Di conseguenza serve un tredicesimo suono per dar luogo alla seconda
risonanza, e qui entra finalmente in scena il Mi bemolle, che esplode nel
registro acuto fin qui non ancora raggiunto (b. 7),
quasi a compensazione del ritardo della sua apparizione.
Da questo
exploit sonoro sembra scaturire, come diretta conseguenza, la nuova cellula C,
in cui un bicordo di seconda minore procede, come un
conseguente accrescitivo e rafforzativo, dalla nota singola d'origine - in
questo caso Mi bemolle, su cui viene costruito il bicordo
Mi bemolle - Fa bemolle.
Il Mi
bemolle è inoltre nota comune fra due blocchi, in quanto completa il Blocco 2 e
apre il Blocco 3 (per questo appare riquadrato sia nell'uno che nell'altro esempio).
La formula costruttiva di C prevede che la nota singola di base venga ribattuta
nel bicordo di seconda minore, cosa che soprattutto
in questo caso contribuisce a sottolineare ulterioremente
un suono che era stato finora per così dire trascurato.
Figura 3
La cellula
C in apertura del Blocco 3 si innesta su una cellula-tricordo
A-I, di cui costituisce una componente parziale. Incontreremo altre due cellule
C, che a differenza di queste saranno indipendenti, cioè non facenti parte di
una cellula A.
Anche il
Blocco 3, dodecafonico standard, condivide la sua ultima nota (Do) col
successivo Blocco 4; come si è già accennato i due blocchi sono strettamente
concatenati in un'unica figurazione, la più lunga del brano (b. 11).
Figura 4
Il ripido
disegno melodico che occupa l'intera b. 11 utiliza dunque le ultime 5 note del Blocco 3 e le prime 8
del Blocco 4 - tenuto conto che il Do è in comune anche in questo caso si può
intravedere un accostamento 5+7.
Il La di
partenza è il tasto più grave del pianoforte, mentre il Fa diesis di arrivo è
il suono più acuto del pezzo. Si tratta dunque di un'amplissima escursione che,
raggiunto il culmine, pare necessitare di una nuova enfatizzazione, garantita
dall'inserzione di una cellula C fondata sul Fa diesis; di qui l'esigenza di
sovrapporre il Sol (nota reiterata del blocco) nella formazione del bicordo di seconda minore.
A questo
punto per completare il Blocco 4 restano 4 note, Sol diesis, La, Re, Mi
bemolle, che, non certo per una casualità, rispecchiano i rapporti intervallari
di quelle che precedono l'apice Fa diesis, vale a dire Mi, Fa, Si e Si bemolle.
Entrambi gli aggregati sono contenibili in una quinta giusta, come il tricordo A, ma le note intermedie sono due, una un semitono
sopra l'estremo inferiore, l'altra un semitono sotto l'estremo superiore. Si
tratta di una fusione fra le tipologie A-I e A-S, motivo per cui indichiamo
questa cellula quadricordo con la dicitura A-IS.
Dopo la
parentesi del terzo segmento, in cui gli accordi puntiformi si sciolgono in
figure orizzontali, il quarto segmento della prima parte ridiviene accordale.
La cellula
A-IS che chiude il Blocco 4 forma il primo accordo del segmento 4 (b. 13), il quale si completa, per così dire, con un totale
dodecafonico simultaneo, il cluster cromatico Reb - Do, che in quanto tale non è definibile come blocco,
dato che i blocchi sono costituiti da cellule ben distinte.
Occorre
rimarcare la particolarità di questo cluster che si
svuota progressivamente, con la mano che rilascia gradualmente le note dal
basso verso l'alto, fino a tenere solo La, Si bemolle e Do, quest'ultimo
poi risuonato da solo in pianissimo. Viene così inscenata una speciale
dissolvenza di una delle manifestazioni emblematiche del pieno, il cluster, che anziché assottigliarsi istantaneamente, come
tutti gli accordi precedenti e successivi, scivola nel vuoto lentamente; anche
l'artificio grafico utilizzato per indicare tale effetto è di notevole
efficacia visiva (l'immagine riportata all'inizio di questa pagina riproduce
proprio la riga che contiene il cluster).
Quanto sia
importante per questo finale di prima parte la cura del rapporto del suono col
silenzio lo testimonia anche l'improvviso incremento delle note mute nel
registro grave. Dopo il primo impiego a b. 5 (Fa
diesis muto singolo) qui viene abbassato un cluster
cromatico dell'ampiezza di tritono, che va dal La più
grave della tastiera al Mi bemolle, il quale poi, dopo un rilascio graduale
simile a quello effettuato dalla mano destra, resta l'unico tasto premuto a
generare una risonanza sempre più flebile. I quattro suoni residui che si
protraggono con diverse modalità sulle battute di chiusura della prima parte
sono dunque il Do, in quanto nota più acuta del cluster
dodecafonico, poi il La e il Si bemolle che formano un ideale tricordo A-S col Mi bemolle grave muto tenuto dalla mano
sinistra. Si delinea così la parabola del Mi bemolle, inizialmente soppresso,
dunque confinato nel silenzio effettivo, poi evidenziato in modo eclatante, e
ora proiettato con un ruolo di rilievo nel campo delle sonorità latenti e
spettrali degli armonici.
Il primo
segmento della seconda parte si propone come esplicita ripresa dell'incipit. Le
prime due cellule del Blocco 5 sono evidentemente collegabili a quelle del
Blocco 1, dalle quali possono essere derivate attraverso una semplice
manipolazione. L'ordine complessivo delle cellule ricalca fedelmente quello dei
Blocchi 1 e 2; perfino il profilo melodico semitonale delle note tenute (Si -
Do) è costruito in modo da riprodurre quello del Blocco 1 (La - Si bemolle), e
a questo scopo il Do viene replicato come tredicesimo suono, apparentemente
estraneo alle cellule A e B, ma tutto sommato passibile di essere posto in
relazione alle note Re bemolle e Fa, con le quali formerebbe a sua volta un tricordo di tipo A_-I, una sorta di corrispettivo
simmetrico e complementare all'unico altro tricordo
di questo tipo, inserito in apertura del Blocco 1. Se a qualcuno quest'ultima argomentazione dovesse sembrare alquanto
speciosa, vorremmo ricordare l'importanza che nel pensiero compositivo
occidentale ha rivestito il gioco dei pesi e dei contrappesi, l'attenzione talora
al limite del maniacale che certi autori, da Brahms a
Ligeti, hanno rivolto ai fattori compensativi, sì da
fare in modo che qualunque evento sporadico trovi giustificazione in un evento
controbilanciante, anche temporalmente lontano.
Figura 5
Anche il
secondo e ultimo segmento della seconda parte sembra voler seguire il solco del
suo corrispettivo della prima parte, ma l'avvento delle due figurazioni già
descritte precedentemente, la quintina e la settimina di b.
23-25, gli fanno prendere una direzione diversa. Questa ultima sottosezione
dello Studio è una ricapitolazione riassuntiva di quanto avviene nella prima
parte da b. 5 a b. 16: il
pieno sonoro di b. 21 sintetizza tutto il secondo
segmento della prima parte, la quintina di b. 23 si
richiama a quella di b. 9, la successiva settimina e
l'arpeggio ascendente di b. 26 riflettono la
spigolosa movimentazione di b. 11; infine la cellula
C variata che a partire dal Si di arrivo dell'arpeggio duplica specularmente il bicordo di
seconda minore trasformandolo in un tricordo-cluster
La diesis - Si - Do ricorda per l'appunto il cluster
di b. 14, e come quest'ultimo
viene dotato di una propaggine che anziché farne riecheggiare la nota più acuta
sale ulteriormente di semitono, andando ad insistere sulla ripercussione
violenta di un Do diesis che sembra voler concludere il brano con un urlo
solitario, straniato ed inascoltato.
La
dilatazione temporale di questo C consente l'inserzione, prima del Do diesis, dell'ultimo
accordo staccato con risonanza, da porre in relazione con quello di b. 13. Ci pare doveroso far notare che il Sol percosso
all'interno di questo esacordo è quello del primo rigo della chiave di basso,
mentre, contrariamente a quanto scritto in partitura (Schott
Music Tokyo) in modo evidentemente erroneo, il Sol muto che genera la risonanza
è quello all'ottava sotto - inutile negare che l'uso insolitamente massiccio
della chiave di basso con la trasposizione all'ottava inferiore può facilmente
provocare questo genere di refuso; di certo non avrebbe alcun senso chiedere di
ribattere fortissimo un tasto che in quel momento è già abbassato, e
quand'anche ci si volesse intestardire a farlo con l'ausilio del terzo pedale
(in questo pezzo peraltro mai richiesto) il risultato sarebbe in lampante
contrasto con la logica di questo passaggio, oltre che con la logica tout
court, e con le linee generali dell'effettistica
dello Studio; del resto l'incisione presumibilmente effettuata sotto il diretto
controllo del compositore conferma la scontata necessità di questa correzione.
Al di là
di queste inezie, giova invece sottolineare come l'utilizzo delle note mute
riveli una particolare raffinatezza proprio in concomitanza con le due figure
cardine della seconda parte (quintina + settimina); l'abbassamento e il
rilascio dei tasti segue una ritmica indicata con precisione estrema, e il Mi
bemolle gioca anche qui un ruolo di notevole centralità.
In questo
segmento finale il Blocco 6, come già accennato, appare ramificato in
un'esposizione multipla. Il totale dodecafonico serializzato (6Ts) è preceduto
da un'enunciazione parziale (6P) così schematizzabile:
Figura 6
Esso è poi
seguito da due enunciazioni parziali serializzate (6Ps, la serializzazione
della seconda è solo presunta, dato che le sei note sono suonate
simultaneamente), intersecate con la cellula Cv.
Figura 6
Concludiamo
questo scritto con due considerazioni di carattere generale.
L'analisi
che abbiamo proposto, come tutte quelle presenti in questo sito, si basa
esclusivamente sull'esame della partitura, prescindendo dalla consultazione di
altri tipi di documento: fatta salva l'indispensabile contestualizzazione
culturale del pensiero dell'autore, non si ritiene affatto indispensabile
vincolare un'analisi tecnico-compositiva a quanto il
suddetto autore può aver dichiarato o scritto, o essere stato portato a pensare
dalle proprio percorso biografico, anche eventualmente in merito allo specifico
pezzo di cui ci si sta occupando. Non sposta minimamente questa opinione il
fatto che il compositore sia vivente e che potrebbe, in linea puramente
teorica, anche smentire personalmente un'idea di analisi difforme dalla propria
(ma non c'è da dubitare che abbia di meglio da fare). La partitura di un brano
di valore si esprime di per se stessa, non necessita di portavoce, e per quanto
possa sembrare paradossale può suggerire anche cose diverse da quelle pensate
dal suo autore. Una lettura della partitura basata su una logica plausibile e
in sintonia con lo spirito del brano ha una legittimità automaticamente
garantita, In fondo il compito dell'interprete, sia a livello esecutivo che
analitico, è quello di far risaltare e sottoporre ad un'adeguata esegesi tutti
gli elementi, con le rispettive correlazioni, che possono rivestire un qualche
interesse, compresi quelli a cui il compositore può aver attribuito minor
rilievo o valutazioni anche notevolmente differenti.
La seconda
riflessione è relativa all'attualità della dodecafonia in quanto ambito ancora
suscettibile di rivisitazioni originali. La concezione egualitaria e
anti-gerarchica da cui questa tecnica scaturì un centinaio di anni fa non
implicava certamente l'esclusione della ricerca di identità armoniche definite;
sono stati semmai alcuni sviluppi successivi a muoversi in questa direzione. A
un secolo di distanza si può affermare che quel terreno è ancora in grado di
offrire spazi esplorabili dalla fantasia di compositori interessati a scoprire
nuove vie verso la conciliazione del principio di onnicomprensività e della
definizione di individualità armoniche saldamente ancorate alle coordinate
teoriche di riferimento della musica occidentale. Chi oggi, inseguendo le
facili mode propagatrici di banalità, sembra voler ridurre l'insieme di quelle
esperienze ad antiquato e marginale cimelio, non di rado guardato pure con un
certo fastidio, farebbe bene, al di là dei gusti personali, a riflettere
seriamente sulla versatilità di un sistema che può ancora essere messo al
servizio dei filoni di pensiero e degli spunti ispiratori più disparati
(perfino di matrice culturale non occidentale, come crediamo di aver mostrato
analizzando questo Studio), e magari, ogni tanto, a meditare sulla propria
superficialità.
ASCOLTO
Toshio Hosokawa,
Studio n. 3
Fabio
Grasso, pianoforte. Si raccomanda l'uso delle cuffie.