From SCHUMANN PROJECT Recital #2
Robert Schumann:
Sonata op. 22
La Sonata
op. 22 di Schumann fra tradizione e innovazione
© Fabio Grasso
Il percorso di ricerca compiuto negli anni 30 da
Schumann sulla forma-sonata, naturalmente limitato
all'ambito pianistico, si rivela a tratti alquanto travagliato, ma giunge
comunque a risultati di originalità indiscutibile, che, oltre a costituire un bagalio di esperienza importante per la sua futura
produzione cameristica e sinfonica, possono talvolta essere considerati come
casi unici nella storia delle invenzioni sonatistiche.
La lunga gestazione della Sonata in sol minore
(catalogata come seconda con il numero d'opera 22, in realtà completata per
ultima, dopo le altre due, op. 11 e op. 14) comincia nel 1833; il brano sembra
acquisito nel 1835, ma seguono varie revisioni, fino alla decisione più
eclatante sostituire il movimento finale con un nuovo epilogo, dalle
caratteristiche formali molto particolari; la data della definitiva
sistemazione della Sonata si sposta così al 1838.
È facile notare quanto i molti ripensamenti che
accompagnano la stesura delle Sonate (il discorso vale anche per l'op. 14, il
"Concerto senza orchestra" pubblicato come Terza Sonata) e che
soprattutto nel caso dell'op. 22 implicano un tempo di scrittura
particolarmente dilatato, siano in contrasto con la velocità e la sicurezza con
cui vengono composti certi polittici, come i Papillons
o i Pezzi fantastici op. 12. Quanto entusiastica è in quel momento la
propensione di Schumann per i cicli di brani brevi di
libera ispirazione, per lo più letteraria, tanto cauto si profila l'approccio
alle forme percepite come potenzialmente a rischio di accademismo
- e d'altra parte, a pochi anni dalla morte di Beethoven,
trovare il modo di dire qualcosa di veramente significativo nel genere della
Sonata poteva legittimamente apparire impresa proibitiva. Tuttavia scrivere
Sonate resta per così dire un dovere professionale per un compositore che
ambisca a un pubblico riconoscimento; spinto da questo stimolo, oltre che
ovviamente da un sincero interesse per l'evoluzione del genere, Schumann accetta la sfida e produce uno sforzo creativo
che, non senza una certa fatica, gli consente di lasciare l'inconfondibile
impronta della sua genialità anche in questo ambito.
La progettualità alla
base della Sonata op. 22 ha alcuni contorni ben definiti, in parte comuni
all'op. 14, specie se si considera la sua stesura originaria (mentre in merito
alla Sonata n. 1 op. 11 le valutazioni cambiano sensibilmente). Possiamo
individuarne i seguenti caratteri fondamentali:
- le dimensioni complessive relativamente
ridotte
- l'unitarietà della macroforma, cementata da
frammenti motivici comuni a tutti i movimenti
- l'essenzialità delle sezioni espositive
Una peculiarità della forma-sonata di Schumann, che emerge nelle op. 22 e 14 per poi confermarsi
in importanti lavori più tardi, è la sostanziale rinuncia ai nuclei tematici di
impostazione classica, costituiti da un tema principale attorno a cui gravitano
idee satellite di notevole importanza. Primo e secondo tema sono di fatto
elementi unici, la cui ampiezza e "personalità" nell'ottica schumanniana sono tali da renderli a sé bastanti. I loro
corollari, quando presenti, non hanno la rilevanza strutturale attribuita alle
idee secondarie dei nuclei tematici mozartiani o beethoveniani; essi appaiono piuttosto come rapide fasi di
transizione verso il segmento formale successivo - solo nel primo movimento
dell'op. 14 troviamo un terzo tema (inteso in senso beethoveniano),
alla testa della sezione conclusiva dell'Esposizione, che in virtù della sua
struttura più articolata può essere vista come nucleo tematico.
Nella Sonata op. 22 non solo riscontriamo una
parentela motivica fra primo e secondo tema,
accomunati dal moto per gradi congiunti discendenti; dallo stesso materiale
sono ricavati temi o parti di tema per i movimenti successivi, mentre altri
profili tematici caratterizzanti del II e del IV movimento vengono generati da
una lettura in senso inverso, quindi ascendente, della cellula per gradi
congiunti.
Tali derivazioni sono illustrate nel seguente
prospetto, dal quale si evince anche come l'incipit del tema principale del II
movimento ricalchi una porzione del secondo tema del I tempo, e venga poi
riletto specularmente all'inizio della seconda frase
dello Scherzo.
Naturalmente, seppur correlati dal punto di
vista motivico, i vari temi presentano caratteri
particolarmente contrastanti, come richiesto dalla prassi sonatistica
romantica, come emergerà esaminando in dettaglio i singoli movimenti. I
passaggi di cui si parla sono identificati da riferimenti cronometrici relativi
all'esecuzione che si può ascoltare facendo partire il video incorporato
all'inizio di questa pagina (ovviamente, per una maggior comodità di lettura
con ascolto simultaneo, si consiglia di aprire questa pagina in due finestre
distinte del browser).
Nel primo movimento il turbinio d'impetuosi
afflati che le indicazioni di andamento suggeriscono di lanciare a velocità
vertiginosa sprigiona subito tutta la sua forza fra l'appassionato primo tema
(00:00, 01:34 nel ritornello), il suo vorticoso corollario (00:22, 01:54 nel
ritornello) - in cui i ravvicinatissimi cambi
d'armonia o addirittura le sovrapposizioni armoniche paiono invitare ad un
approccio esecutivo particolarmente tumultuoso, al limite del caotico - e il
ponte modulante (00:31, 02:03), sezione dotata di materiale autonomo, che
introducendo il ritmo puntato e le figure in ottave sembra rendere ancora più
incalzante un fraseggio che deve vivere di folate, sia sotto forma di crescendi
che di accelerazioni.
Questo cinetismo trova
un momento di tregua nel cantabile secondo tema in Si bemolle maggiore (00:57,
02:30), che pure, oltre a non diminuire di velocità, mantiene la tensione
all'instabilità per via della scansione sincopata. Le figurazioni rapide
riprendono gradualmente durante la sua seconda enunciazione variata, generando
la transizione alla Coda dell'Esposizione (01:22, 02:55), il cui motivo è la
rilettura del primo tema nel verso ascendente.
Le prime tre sezioni dello Sviluppo (i cui
rispettivi inizi si trovano a 03:07, 03:36 e 03:53) giocano abbastanza
liberamente sul ritmo puntato del ponte modulante, combinandolo con vari
frammenti motivici del ponte stesso e del primo tema,
il quale ritorna pienamente riconoscibile nel suo profilo ritmico-melodico
originario con la sequenza di imitazioni che dà avvio alla quarta sezione
(04:02). Da qui in poi lo Sviluppo procede avvalendosi esclusivamente del primo
tema: la quinta sezione (04:10) arriva gradualmente a rienunciarlo
nella sua interezza in Re minore (04:17). Dopo una cesura la sesta sezione
(04:28) lo ripresenta in una veste meno concitata, con un carattere più
espressivo, in un percorso modulante armonizzato in modo tale da sottolinearne
una venatura elegiaca. L'ultimo segmento di Sviluppo (04:41) riguadagna la
Dominante di Sol minore con un trascinante crescendo che comincia su una serie
di quinte ascendenti, mutazioni della quarta ascendente che nella sesta sezione
era stata aggiunta in appendice alla linea del primo tema, come una sorta di
rimbalzo compensativo dei gradi congiunti discendenti.
Si tratta dunque di uno Sviluppo che concilia la
varietà di una ricca segmentazione con l'unitarietà del materiale utilizzato, e
che si contiene in una durata molto ben proporzionata alle dimensioni del
movimento - una proporzione che Schumann tenderà
talora ad alterare nella sua successiva produzione, specie sinfonica, con la
dilatazione degli Sviluppi, a fronte di sezioni espositive alquanto stringate.
La Ripresa (04:53) presenta la variazione di
percorso al termine del corollario del primo tema, che si aggancia al ponte
restando in Sol minore (05:22), convertito poi in Sol maggiore, tonalità in cui
viene esposto il secondo tema (05:50). Al termine di quest'ultimo
la grande discesa in quartine di semicrome si congiunge a una nuova raffica di
figurazioni sempre più veloci, questa volta ascendenti, che segnano l'inizio
della Coda generale del movimento (06:17) in sostituzione di quella
dell'Esposizione, che quindi non viene più ripresa. L'infuocato finale
ripropone ancora il primo tema, dapprima con una deviazione modulante alla
Sottodominante (06:29), e poi, nel segmento conclusivo (06:41), in una versione
che trasforma i quattro gradi congiunti discendenti in un salto di quarta
discendente, come in uno sforzo di sintesi estrema, di essenzializzazione
esasperata del materiale che è protagonista assoluto del movimento e
dell'intera Sonata.
Il secondo movimento (07:03) in Do maggiore è
l'unico in una tonalità diversa da Sol minore. L'insolita scelta della
Sottodominante maggiore della tonalità d'impianto minore enfatizza la
discontinuità di questa oasi di pacato lirismo rispetto al tempestoso primo
movimento. Sia per la cantabilità sia per la forma l'Andantino è per certi versi affine alla Romanza op. 28 n.
2; possiamo in effetti considerarlo un Lied strumentale, anche perché è
accertata la sua genesi come trascrizione di un normale Lied per voce e
pianoforte poi dismesso.
Lo domina un tema unico, incantevole melodia, di
natura chiaramente vocale, costituita da tre cellule motiviche
collegate in stretta consequenzialità, suggellate da una linea conclusiva di più
ampio respiro. L'intera frase viene poi riproposta in una versione variata
(07:47), arricchita da una linea interna in semicrome, e con la porzione finale
modificata sia dal punto di vista ritmico che da quello melodico.
Questa prima parte equivale alla sezione A della
Lied-Form; ci si attenderebbe quindi un intermezzo B
con materiali diversi. Invece la nuova sezione (08:44) sviluppa in un percorso
modulante il motivo di A, mantenendo la pulsazione in sedicesimi e raggiungendo
Si bemolle maggiore attraverso Sol minore. Una transizione basata sul disegno
in semicrome (09:18) conduce, modulando a La bemolle maggiore al secondo
intermezzo (09:28), all'inizio del quale la nuova Tonica viene subito reinterpretata come Dominante di Re bemolle maggiore e
usata come pedale su cui poggia tutta la progressione dell'episodio, sempre
costruita sulla cellula iniziale del tema di A. È in questa fase che viene
raggiunto il culmine dinamico del movimento: a quel punto sarebbe facile
tramutare la Settima di Dominante di Re bemolle in sesta aumentata da risolvere
sulla Dominante di Do maggiore per tornare alla tonalità iniziale e avviare la
ripresa di A. La soluzione di Schumann è più sottile:
una sequenza di bicordi collegati cromaticamente
comprime la tessitura verso il grave, la sonorità che aveva appena toccato il
suo picco si sgonfia, l'armonia viene ricondotta alla semplice triade di La
bemolle, poi alla triade aumentata con l'innalzamento del Mi bemolle a Mi
bequadro, e di qui, attraverso un'affinità di terza gestita con disarmante
naturalezza, al Do maggiore della riesposizione
finale del tema di A.
Più che di un A-B-C-A dovremmo dunque parlare,
in considerazione del sostanziale monotematismo del
movimento, di uno schema sintetizzabile come
A - A
variato - 1o Sviluppo di A - 2o Sviluppo di A - A - Coda
L'ultimo A (10:01) differisce dal primo solo per
una voce aggiuntiva che contrappunta la prima cellula
melodica. Esso è infine seguito da una Coda (10:44), unico segmento ad
introdurre qualche spunto ritmico-melodico nuovo,
come il salto di ottava discendente col sedicesimo puntato e il trentaduesimo,
Nel brusco passaggio dalla quiete di questa sommessa Coda al prorompente
attacco percussivo dello Scherzo si realizza il più violento contrasto di
colore della Sonata.
Anche nel terzo movimento (11:54) Schumann sperimenta qualche variante alla forma
tradizionale dello Scherzo.
La frase principale A è bimembre
(essendo costituita dalla componente degli accordi ribattuti e da quella della
linea in ottave), non viene ritornellata, visto che
le due componenti sono già oggetto di ripetizione, variata o meno che sia, e
non è modulante, ma semplicemente termina la sua prima enunciazione in modo
aperto sulla Dominante di Sol minore. La frase B (12:11) si collega per
sottoposizione di terza a tale armonia dominantica,
aprendosi quindi in Si bemolle maggiore, e si chiude ritornando a Sol minore.
La ripetizione di A (12:24) è identica, salvo che per la conclusione sulla
Tonica. Anche per il blocco formato da B e dalla ripetizione di A non viene
ritenuto necessario il ritornello.
L'episodio centrale (12:41), che dovrebbe
equivalere ad una sorta di Trio, presenta una prima frase ritornellata,
la cui porzione terminale viene poi sottoposta a un ampio sviluppo modulante
che funge da seconda frase (13:08) non ritornellata.
Un passaggio durante il quale si accentuano i giochi d'incastro di figure
binarie sul metro ternario. La successiva omissione della ripetizione della
prima determina il ricongiungimento immediato alla ripresa finale dell'A di
apertura (13:27).
Diversamente da quanto avviene nella forma
standard dello Scherzo, ove la ricapitolazione del corpo principale successiva
al Trio è integrale, seppur senza ritornelli, qui non viene più riproposto l'elemento
B, ma solo A nella versione che termina assertivamente
sulla Tonica.
Di portata ben superiore sono le sperimentazioni
formali del quarto movimento (13:48), il più complesso dal punto di vista della
concezione architettonica.
La dicitura "Rondò" è abbastanza
riduttiva per un movimento che appare in realtà come un Rondò-Sonata anomalo,
frutto di un processo di alterazione strutturale di invenzione prettamente schumanniana - una sorta di "esclusiva" del
compositore, messa in campo qui e altrove, senza riscontri di rilievo nelle
opere degli altri grandi compositori coevi, ma nemmeno successivi, e tanto meno
precedenti.
Come è noto, l'ibridazione fra Rondò e
forma-sonata, largamente praticata in epoca classica per i finali di Sonate e
soprattutto Concerti, implica innanzitutto l'identificazione del refrain
"A" del Rondò col primo tema (o nucleo tematico) della forma-sonata.
Gli episodi B e C corrispondono rispettivamente a secondo tema (o nucleo
tematico) e Sviluppo (o svolgimento libero), mentre il terzo episodio
intermedio del Rondò, D, diventa B', in quanto riproposizione
del secondo tema alla Tonica. Dunque nella forma complessiva
A - B - A
- C - A - B' - A
il quarto A funge da Coda, il terzo da primo
tema della Ripresa, il primo, come già detto, da primo tema dell'Esposizione.
Solo il secondo A non ha un corrispettivo ufficiale nella forma-sonata, ragione
per cui si potrebbe pensare che il "Rondò-Sonata" classico, per così
dire, sia un po' più Rondò che Sonata. In realtà sarebbe opportuno ricordare
che la forma-sonata ha spesso richiami al primo tema dopo l'enunciazione del
secondo, e che comunque l'Esposizione è ritornellata;
dunque il secondo A potrebbe anche essere visto come un ritornello dimezzato,
cioè limitato al primo tema e non applicato a tutta l'Esposizione.
Schumann avverte il bisogno di
cercare qualche via diversa per realizzare questa fusione organica fra Rondò e
forma-sonata, così perfettamente consolidata negli inarrivabili esempi mozartiani e beethoveniani.
La prima novità evidente consiste nel passaggio
da A / primo tema a B / secondo tema. Nel Rondò-Sonata classico è di norma
presente un ponte modulante, che si tende preferibilmente ad associare alla
sfera di A.
Qui al contrario l'ampio primo tema, costituito
da due frasi pensate secondo la logica "proposta-risposta" e una
terza conclusiva, termina con una netta cesura, dopo la quale, in un tempo
improvvisamente più lento, si apre immediatamente il secondo tema, o B, in Si
bemolle maggiore (14:12). Si tratta di una linea molto espressiva per gradi
congiunti discendenti introdotta da un salto di sesta ascendente; essa si
ripete in tutto sette volte, ora identicamente, ora con microvarianti
nell'armonizzazione, ora in contesti armonici e registri molto differenti.
Il primo e il secondo tema diventano dunque due
universi nettamente distinti, di carattere decisamente contrastante, non
collegati da transizioni ma semplicemente giustapposti, assolutamente coesi al
loro interno grazie all'uso di un solo materiale tematico.
La sezione introduttiva dello Sviluppo (15:14)
arriva subito dopo il secondo tema; non viene dunque rispettata la regola del
Rondò-Sonata che prescrive la seconda esposizione di A fra B e C, tanto che ci
si potrebbe chiedere, a questo punto, perché si stia parlando di Rondò-Sonata a
proposito di questo movimento - la questione troverà risposta col procedere
dell'analisi.
Lo Sviluppo (o C) esordisce con una serie di
frasi di natura interrogativa, con le figure in semicrome e l'impulso ritmico
del primo tema. Dopo qualche oscillazione modulante (fondamentalmente fra Do
minore, Sol minore e Si bemolle maggiore) si approda alla Dominante di Si
bemolle, che diviene minore con l'inizio della seconda sezione dello Sviluppo
(15:41).
La progressione modulante che da qui prende
avvio, sulla frase principale del primo tema, compie il seguente percorso:
1a tratta: Si bem.min. - Sol bem.magg. - Mi bem.min. ||
2a tratta: Re bem.min - Fa diesis min. come Dominante min. di Si min - Si min. -
Mi magg. come Dominante
di un La magg. sottinteso (15:57)
Nella terza fase dello Sviluppo l'iter modulante
prosegue, con l'ingresso di una nuova figura alternata alla frase del primo
tema, scendendo per toni interi:
(Mi magg.) - Re magg. -
Do min. - Si bem.magg. - La bem.magg.
Dal primo rivolto di La bemolle viene raggiunta
per via cromatica la Dominante di Sol minore, che prepara la Ripresa (16:15).
Il primo tema viene ripetuto identico fino alla
cadenza finale, qui non più V-I come nell'Esposizione ma V-VI (16:34). Questa variante
consente di riesporre il secondo tema in Mi bemolle maggiore (16:38), dunque
una quinta sotto rispetto all'Esposizione, stante in quest'ultima
la relazione di terza ascendente fra primo e secondo tema: è questa
un'architettura tonale utilizzata talvolta da Beethoven,
nel contesto di tonalità sia maggiori che minori, per contemperare affinità di
terza e richiamo classico del rapporto di quinta fra i secondi temi di
Esposizione e Ripresa (si vedano in merito, ad esempio, il primo movimento
della Sonata Waldstein e l'Ouverture dell'Egmont).
Al termine di questa rienunciazione
del secondo tema troviamo la novità più rilevante, tramite cui si spiega il
titolo di Rondò: anche lo Sviluppo / C viene ripetuto (17:40), trasposto a
partire dalla nuova tonalità del secondo tema: pertanto la sua sezione
introduttiva condurrà ora alla Dominante di Mi bemolle minore, una quinta sotto
il Si bemolle minore della precedente enunciazione.
A questo punto una trovata a sorpresa interviene
a mutare il corso di eventi altrimenti fin troppo facilmente prevedibili: la
seconda sezione dello Sviluppo (18:08) non continua infatti la trasposizione in
maniera meccanica, ma, al contrario, inverte la rotta modulante percorsa
precedentemente. Se questa, come abbiamo visto, era iniziata descrivendo la
traiettoria Si bem.min. - Sol bem.magg.
- Mi bem.min., ora questo itinerario viene retrogradato in
Mi bem.min.
- Sol bem.magg. - Si bem.min
L'effetto di questa inversione è un autentico
ribaltamento dell'intervalo di trasposizione, che da
questo momento non è più una quinta sotto, ma una quinta sopra rispetto alla
prima enunciazione dello Sviluppo.
Quella che abbiamo definito come seconda tratta
del percorso modulante della seconda sezione continua ora (18:17) una quinta
sopra, e così pure la terza sezione (18:25), col seguente tragitto, la cui
terza tappa cambia anche di modo:
(Si magg.) - La magg. -
Sol MAGG. - Fa.magg. - Mi bem.magg.
La Dominante di Sol minore, punto di arrivo
obbligato dello Sviluppo, è ora a tiro di risoluzione dal VI grado (18:38).
Col ritorno alla tonalità d'impianto si approda
all'ultima Ripresa integrale del primo tema (18:43), che chiarisce
definitivamente il significato da attribuire al termine Rondò in questo
contesto.
Considerato che dopo questo ultimo "A"
si giunge, tramite una breve transizione (19:04) a un episodio cadenzale
(19:12) che fa da Coda al movimento, assieme ad un'estrema appendice (19:41),
folgorante volate verso l'acuto sull'incipit del primo tema stesso, possiamo
fissare questo schema formale complessivo:
A - B - C
- A - B' - C' - A - Cadenza + incipit di A
Confrontandolo col Rondò-Sonata classico
osserviamo analogie e differenze.
Punti in comune:
- gli "A" (primo tema) sono 4, pur
essendo l'ultimo enormemente decurtato
- i B (secondo tema) sono due, in relazione di
quinta discendente fra loro.
Fattori di divergenza:
- i C (Sviluppo) sono due anziché uno
- le ripetizioni integrali di A sono
intervallate da due episodi e non da uno solo
- l'A decurtato nella Coda non segue un B, ma un
A integrale, da cui è separato tramite l'inserto improvvisativo.
Ciò che altera, per non dire stravolge, la
struttura classica è dunque la ripetizione trasposta dello Sviluppo
"C", ideata in modo tale da provocare tutte le importanti e geniali
conseguenze che abbiamo tentato di descrivere.
Occorre in conclusione rimarcare che l'idea di
ripetere lo Sviluppo dopo la Ripresa, trasponendolo adeguatamente, e a un certo
punto modificandolo per farlo sfociare in un'ulteriore Ripresa, seguita poi
subito dalla Coda, era già stata realizzata nel primo e nell'ultimo movimento
della Sonata op. 14, portata a termine (nella stesura giovanile) prima che
l'op. 22 conoscesse la sua veste definitiva. Nessuno dei due movimenti reca
però la dicitura di Rondò. In merito alle ragioni per le quali questa etichetta
non sia apposta ai movimenti dell'op. 14 e venga invece utilizzata per il
finale dell'op. 22, pur essendo le tre forme molto simili, si possono fare
almeno due supposizioni. La prima, piuttosto ovvia, è che il titolo Rondò non è
confacente ad un primo movimento (si sa che l'ottusa pedanteria di certa
critica antischumanniana non aveva bisogno di essere
ulteriormente stuzzicata da provocazioni inutili ed evitabili). La seconda
tiene conto del fatto che sia il primo sia soprattutto l'ultimo movimento
dell'op. 14 hanno ponti modulanti di grande rilevanza espressiva e formale,
mentre il finale dell'op. 22 ne è addirittura sprovvisto. Questo probabilmente
crea una percezione degli uni più pendente verso la sfera della forma-sonata, e
fa pensare all'altro come pezzo più affine all'idea di Rondò puro, che non
prevede alcuna transizione fra A e B.
Al di là delle questioni nominali, ciò che
interessa rilevare è che la tecnica di trasposizione applicata nell'op. 14 non
contempla altre varianti al di fuori della differenziazione delle conclusioni
delle sezioni coinvolte. Schumann userà molte altre
volte la trasposizione di lunghi blocchi, soprattutto negli Sviluppi di
forme-sonata (si vedano ad esempio i primi movimenti della Sinfonia n. 4 e del
Concerto per pinoforte e orchestra, e gli esempi
potrebbero continuare), oppure anche al di fuori della forma-sonata, come
accade nell'epilogo degli Studi sinfonici (versione rimaneggiata del 1852). Ma
possiamo dire che l'ideazione di una variabile così singolare come la rilettura
a ritroso di un percorso modulante resta una perla compositiva
peculiare del caso che abbiamo esaminato. Una sottile raffinatezza che, in un
contesto già molto particolare, concorre a fare del finale dell'op. 22 il
movimento più originale di una Sonata peraltro già impreziosita da svariate
altre gemme, e che dunque vale certamente l'attesa pluriennale che la sua
genesi ha comportato.
Potrà forse sembrare a qualcuno che questi siano
dettagli troppo minuti per modificare la diffusa opinione secondo cui l'op. 22
sarebbe "la più classica" delle Sonate di Schumann.
Ma l'incidenza di un'innovazione non va mai
valutata solo in base alla sua appariscenza. È chiaro che certe deviazioni
dagli schemi classici dell'op. 11 sono più macroscopiche rispetto ai
procedimenti qui illustrati. Ma il progresso delle tecniche compositive
si compie più spesso sui dettagli tecnici, in un cammino graduale, piuttosto
che sugli strappi evidenti a chiunque. Senza contare che la sfera semantica
normalmente associata all'aggettivo "classico" non sembra
propriamente affine allo spirito profondamente romantico che promana da questsa Sonata, le cui agitate atmosfere presagiscono a
tratti i cupi turbamenti di Kreisleriana, ciclo che
vede la luce proprio mentre la Sonata sta per essere ultimata, e che non a caso
affida i suoi più pregnanti momenti espressivi proprio alla tonalità di Sol
minore.
Si presti dunque attenzione a non lasciare che
luoghi comuni neanche troppo fondati possano ingenerare equivoci sulla non
trascurabile portata innovatrice di un'opera che sia al percorso di crescita
della creatività schumanniana sia all'evoluzione
ultrasecolare del complesso universo delle forme-sonata ha apportato un contributo
innegabilmente prezioso.
Fabio
Grasso