From SCHUMANN PROJECT Recital #4
Robert Schumann: Novelletten op. 21
Robert
Schumann: Novelletten op. 21
Le ragioni
di una visione unitaria
© Fabio
Grasso
Non capita così di frequente di ascoltare dal
vivo un'esecuzione integrale delle 8 Novellette op. 21, monumentale lavoro del
1838. Schumann stesso ammette, forse soprattutto per motivi pratici, l'utilizzo
parziale di un'opera che presa nel suo insieme, per estensione e complessità,
può presentare qualche difficoltà di fruizione.
Risulta tuttavia interessante esaminare le
ragioni per cui l'op. 21 può essere considerata come un ciclo unitario, e i
molti aspetti che vengono valorizzati quando la si esegue interamente.
È ben noto che le più importanti composizioni
pianistiche di Schumann hanno legami precisi con opere letterarie. Siamo
normalmente in grado di stabilire quale scritto di un determinato autore, o
quale parte di esso, costituisce la scintilla originaria dell'ispirazione da
cui scaturisce un certo brano. Così accade ad esempio per i Phantasiestücke op.
12, o per Kreisleriana op. 16, o ancora per i Nachtstücke op. 23 in relazione a
E.T.A. Hoffmann, pensatore che all'estetica musicale dedica gran parte delle
proprie energie. Fra i molteplici ruoli che gli si possono attribuire vi è
quello di atipico filosofo della musica che espone le sue visionarie teorie non
in forma trattatistica, ma ammantandole di un'accattivante veste narrativa, nei
lunghi cicli di racconti dagli intrecci complessi e sorprendenti. Se è vero che
Schumann deve molto a Hoffmann per la ricchezza degli spunti ispiratori che gli
offre, è innegabile anche il contrario: le intuizioni musicali hoffmanniane
sarebbero rimaste affascinanti fantasie concepite da personaggi immaginari, fra
l'utopico e il bizzarro, se il genio di Schumann non le avesse comprese,
filtrate ed elaborate fino a concretarle in una realizzazione pratica che le
chiarisce e le nobilita come meglio non si sarebbe potuto.
Non stupisce dunque che la sintonia fra Schumann
e Hoffmann vada al di là di una serie di corrispondenze fra titoli, o di
richiami di vario tipo fra passi letterari e musicali. L'affinità fra i due
spiriti è tale che la straordinaria capacità schumanniana di assimilazione e
rielaborazione degli stimoli letterari appare ulteriormente potenziata quando è
Hoffmann l'oggetto di studio: la suggestione non è limitata al piano dei
contenuti, ma anzi può talora anche prescindere da essi, e determinare l'assorbimento
di un'attitudine mentale narrativa, vale a dire dell'idea stessa di narrazione.
I racconti hoffmanniani sono ricchi di
intermezzi, di digressioni, di episodi che vengono accantonati e poi ripresi,
di personaggi che si eclissano e riappaiono in contesti nuovi con
caratteristiche differenti. Le composizioni sopra menzionate sono già
ampiamente rivelatrici di quanto questa tecnica si rifletta sulle strutture
musicali ramificate in molteplici schemi di tipo A-B-A intrecciati fra loro.
Per quei casi, in sede di analisi degli influssi hoffmanniani, si tende
giustamente a privilegiare gli aspetti contenutistici, in ragione della
presenza di tematiche di forte impegno: il mondo onirico nell'op. 12, le paure
della notte ed il loro dissolversi nei Nachtstücke, le ossessioni e i
presentimenti di follia in Kreisleriana.
Per le Novellette invece le indicazioni di
natura contenutistica consistono solo in qualche vago accenno sparso fra
lettere e diari del compositore. Questa insolita scarsità di riferimenti
specifici si spiega col fatto che qui l’attenzione del compositore si concentra
prevalentemente sulle architetture formali dei testi hoffmanniani e sul
carattere generale della narrazione, più che sul suo oggetto. In altri termini
l'intento di Schumann sembra essere quello di spingere l'ascoltatore a
domandarsi non tanto "che cosa raccontano" le Novellette, ma
piuttosto "come raccontano" qualcosa che ciascuno può anche cercare
di immaginare liberamente, sia interpretando le scarne indicazioni
extramusicali disponibili, sia scovando alcuni indizi illuminanti che emergono
sporadicamente dalle pieghe della partitura.
Certo nelle Novellette, come suggerisce il nome
stesso (in qualità di titolo musicale il termine è un neologismo schumanniano),
si coglie facilmente il gusto di abbandonarsi a un racconto leggero, fantastico
e spensierato, a un momento di evasione che liberi la mente dai turbamenti che
avevano iniziato ad affliggerla; del resto la levità insita nel titolo è
confermata dal gioco di parole con cui Schumann mette in relazione la parola
Novellette col cognome del soprano londinese Clara Novello, per cui il
compositore e Clara Wieck nutrivano molta ammirazione: "ho intitolato
questi brani «Novelletten» perché non potevo chiamarli «Wiecketten»",
scrive scherzando sull'omonimia delle due donne e confermando così indirettamente
anche per quest'opera la centralità della figura di Clara Wieck come musa
ispiratrice. Tuttavia questa atmosfera creativa tendenzialmente più rilassata
rispetto a quella di altri lavori coevi non impedisce che anche i percorsi più
liberi, digressivi e giocosi siano inquadrati in una cornice generale costruita
rigorosamente: ne sono fattori di coesione soprattutto i rapporti di simmetria
macroformale delineati da una sottile rete di connessioni che riguardano il
materiale motivico, le tonalità e i caratteri dei vari brani.
Per avvicinarci ad afferrare il senso
complessivo dell’opera iniziamo dalle uniche due coordinate letterarie indicate
esplicitamente dall’autore.
A proposito della Novelletta n. 2 Schumann cita
la protagonista femminile del West-östlicher Divan di Goethe, la principessa
persiana Suleika, l'ultima delle splendide figure femminili regalate da Goethe
alla liederistica, che dà anche il titolo al nono Lied della raccolta Myrten
op. 25. In effetti questo Lied e la sezione centrale della seconda Novelletta,
che offre un momento di respiro lirico a una delle pagine più trascinanti e
virtuosistiche del pianismo schumanniano, condividono un La maggiore dalla
luminosità discreta, nel cui ambito i toni intimi e riservati dell'invenzione
melodica e della conduzione armonica lasciano a tratti emergere intensi afflati
di segreto struggimento, riflettendo così l'intreccio di ricordi e di pensieri
confessati dalla fanciulla nei versi goethiani - per la verità opera della
coautrice latente del Divan, Marianne von Willemer.
L'altra indicazione era stata in origine apposta
in partitura all’inizio della sezione mediana della Novelletta n. 3, un
episodio peraltro nato come brano autonomo. Si trattava della citazione
dell’incipit del Macbeth (la scena della riunione delle streghe nella notte di
tempesta); il motto shakespeariano fu poi rimosso al momento della
pubblicazione. L'attacco di questo intermezzo segna un punto di forte
discontinuità rispetto all'andamento umoristicamente ondivago della prima
parte, avviando all'improvviso una cavalcata impetuosa, stemperata a più
riprese in fuggevoli sottosezioni dalla sonorità più sommessa, a cui le
ripetizioni trasposte e il vivace ritmo sincopato conferiscono una sorta di
inquietudine onirica. A punteggiare il movimentato fraseggio interviene una
linea che diverrà cellula motivica fondamentale nella prima parte dell'ottava
Novelletta - fra l'altro su questa stessa figura si basa anche la prima
variazione postuma degli Studi sinfonici:
La cesura che interrompe questa concitata
sequenza di frasi sembra marcare il momento dell'uscita dal sogno, il ritorno
vagamente stupito alla realtà della ripresa della sezione iniziale, decisamente
decurtata.
Se allora da un lato le Novellette 2 e 3 formano
un dittico a tinte contrastanti, lungo il quale i più marcati cambiamenti di
scena sembrano suggeriti da reminiscenze poetiche tanto labili quanto
inopinate, dall'altro l'osservazione delle strutture e degli andamenti ci
rivela una relazione simmetrica intrattenuta con un'altra coppia di Novellette
contigue, la settima e la sesta. Notiamo infatti che sia la n. 3 sia la n. 6
hanno un inizio leggiadro di cui si raccomanda un'interpretazione "Mit
Humor"; inoltre entrambe constano di un corpo centrale fitto di incalzanti
digressioni ripetute e trasposte dal sapore onirico, dissipate infine da un
forte segnale di risveglio che prelude a una ripresa abbreviata: nel caso della
n. 6 si tratta di uno sforzato a cui segue la ricapitolazione non già
dell'inizio, ma della seconda sottosezione della prima parte.
Un'analogia strutturale intercorre anche fra le
più semplici architetture della n. 2 e della n. 7, i cui intermezzi risultano
notevolmente più decifrabili, essendo entrambi definibili come oasi di soave
cantabilità in La maggiore, seppur con caratteri diversi, a schema tripartito
agevolmente riconoscibile. Di sostanziale tripartizione si può parlare anche
per le loro sezioni iniziali, poi riprese ed accorciate in chiusura di brano,
sebbene anche qui con alcune distinzioni: nella n. 2 il segmento B è molto più
esteso del segmento A, mentre nella n. 7 al contrario il fugace B si
contrappone ad un brillantissimo A declinato in ben 4 versioni, delle quali
nella ripresa finale sopravvivono solo la prima e l'ultima, riproposte in
ordine inverso. Aggiungiamo che nella prima parte della n. 2 lo schema A-B-A è
per così dire rinforzato da una reiterazione variata e ridimensionata della
coppia B-A. Dunque, sia pure per motivi molto diversi, in entrambe le
Novellette gli schemi tripartiti di base della sezione principale tendono a
dilatarsi in una sorta di pentapartizione.
Per l'esemplificazione concreta e il reperimento
di queste componenti formali si rimanda alla registrazione incorporata
all'inizio di questa pagina: il video con essa sincronizzato reca le
indicazioni cronometriche e i principali itinerari tonali utili a tracciare all'ascolto
le varie sezioni; questa guida dovrebbe auspicabilmente consentire di
orientarsi con una certa disinvoltura nei sentieri non di rado intricati delle
Novellette.
Dalle forme prese fin qui in esame emerge dunque
una tendenza generale ad una macrotripartizione, in cui ogni membro appare a
sua volta scomponibile in una tripartizione di livello secondario, al cui
interno si può talora scendere in ulteriori microtripartizioni, al netto di tagli
ed altri interventi destabilizzanti, atti a prevenire i rischi di monotonia e
di prevedibilità che un simile gioco di incastri ternari può comportare. La
schermata associata alla Novelletta n. 5 mostra come gli schemi a trittico
siano talora leggibili in senso sia orizzontale che verticale: in questo lungo
Rondò-Polonaise il refrain A viene per tre volte introdotto da una transizione
che ne preannuncia il ritorno col richiamo al ritmo tipico della Polacca, e che
crea così un trittico "orizzontale" con l'episodio da cui è preceduta
e il refrain stesso a cui conduce; ebbene, le tre transizioni, ovviamente
separate da una certa distanza temporale, delineano a loro volta una simmetria
ternaria "verticale" di tipo 1-2-1, dato che la prima e la terza sono
identiche, mentre la seconda è diversificata.
La Polonaise non può che essere accoppiata, per
affinità danzante, con la Novelletta n. 4, un Valzer "Ballmäßig" ove
le strutture a tre sono relativamente semplificate. Vale la pena di ricordare
che Valzer e Polacca sono danze caratterizzanti dei Papillons op. 2; può dunque
darsi che il dittico centrale costituito dalle Novellette n. 4 e n. 5 si
proponga di inscrivere nell'impianto narrativo di stampo hoffmanniano qualche memoria
del magico ballo mascherato di Jean Paul che l'op. 2 trasferisce in musica con
tanta raffinata eleganza, segnando il punto di partenza di quel meraviglioso
viaggio dell'immaginazione che attraverso gli Intermezzi op. 4 porterà alle
sfilate variopinte di Carnaval, Davidsbündlertänze e Carnevale di Vienna. Ma i
numerosi mascheramenti e svelamenti d'identità inscenati lungo questo mirabile tragitto
dalle anime schumanniane contrapposte di Florestan ed Eusebius sembrano ora
essere rievocati, in queste due Novellette sottilmente autobiografiche, con
toni meno conflittuali, meno problematici, più divertiti e quasi distaccati,
conformemente al clima generale del ciclo, come se a partire da quei ricordi si
volesse costruire una storia diversa e meno sofferta, un rasserenante ed ironico
racconto di nuove avventure inedite, collaterali rispetto a quel filone
originario - se vogliamo avvalerci di un termine in uso nel linguaggio
mediatico del nostro tempo potremmo parlare di una sorta di spin-off.
Ricapitolando quanto detto finora, dalla Novelletta
n. 2 alla n. 7 possiamo individuare tre dittici di brani contigui (2-3, 4-5,
6-7), formati, come si è cercato di spiegare, per affinità o contrasto di
ispirazione o carattere, ma in fondo anche sulla base di almeno due fattori
tecnico-musicali elementari e perspicui: in primo luogo i dilatati finali in
dissolvenza dei brani 3 e 5, che possono far presupporre, a livello di forma
complessiva del ciclo, una cesura più marcata fra tali numeri dispari e i pezzi
successivi; in secondo luogo le tonalità delle Novellette n. 6 e 7,
rispettivamente La maggiore e Mi maggiore, che spezzano con due salti di quinta
ascendente l'egemonia del Re maggiore, tono d'impianto immutato di ben quattro
brani consecutivi (dal 2 al 5).
Abbiamo poi rimarcato che, allo stesso tempo, le
parentele strutturali legano specularmente la n. 3 alla n. 6 e la n. 2 alla n.
7 - queste ultime due sono accomunate anche da una componente virtuosistica molto
spiccata, probabilmente il motivo per cui Schumann, in una lettera alla futura
moglie, le consiglia di eseguire una di esse in sede di prima presentazione
dell'opera.
La coppia 4-5 funge pertanto da fulcro della
macrosimmetria centrale dell'op. 21, che si completa, come illustrato nello
schema qui di seguito, con la corrispondenza fra le Novellette n. 1 e n. 8,
sapientemente progettate come prologo ed epilogo a sé stanti.
La prima Novelletta è un manifesto dell'armonia
di Schumann, in quanto il suo percorso tonale si fonda esclusivamente
sull'affinità di terza, e in particolare sulla sottoposizione di terza
maggiore, una delle relazioni di terza più frequentemente praticata dal
compositore. Al Fa maggiore d'impianto si collegano infatti, in un'unica lunga
concatenazione che percorre tutto il brano, le tonalità di Re bemolle maggiore
e, tramite connessione enarmonica, La maggiore. La prima schermata del video
enumera tutte queste modulazioni per terza maggiore discendente, che
intervengono sia a livello macroformale, nel passaggio dalla parte principale a
quella centrale, sia fra i segmenti A, inizialmente disposti in un'alternanza
che verrà poi soppressa nella ripresa (dunque la decurtazione della ripresa
esordisce qui per poi confermarsi come regola comune a tutte le Novellette, ad
eccezione della quarta), sia all'interno del segmento B, una specie di secondo
tema molto cantabile (in opposizione all'incisività accordale di A), che
descrive un'oscillazione di terza maggiore, discendente e poi ascendente, nella
sua porzione finale.
Ciò che conferisce una speciale rilevanza a B è
l'inciso melodico che ne costituisce la chiave di volta. Questa breve frase
esitante, chiusa da un gruppetto e da un'appoggiatura dominantica dalla
sfumatura interrogativa, è oggetto di autocitazioni particolarmente
significative nelle opere pianistiche e liederistiche di Schumann, una perla
del suo vocabolario destinata ad evocare un profondo, per quanto breve, momento
di confessione senza filtri, di apertura totale dell'animo, mai disgiunto dal
pensiero di Clara:
Non a caso tale inciso ha sempre una
collocazione strategica: lo si trova nei brani di apertura di lunghi cicli o
raccolte, a guisa di velata dichiarazione d'intenti, come qui o in Widmung
(Dedica), il primo Lied dell'op. 25 - ove la sua associazione al testo "Du
bist vom Himmel mir beschieden" ("Tu mi sei donata dal cielo")
ne fa trasparire il latente riferimento sentimentale; oppure può ricorrere verso
la fine di un brano o di un polittico, come nella coda dell'Arabeske o
nell'epilogo delle Kinderszenen op. 15, quando "il poeta parla"
direttamente all'ascoltatore, gettando una luce chiarificatrice sulla natura di
quelle "scene" che l'autore sentiva come "piccole
novellette" rievocatrici di memorie infantili (non per nulla la prima
soluzione ipotizzata per la pubblicazione dell'op. 15 prevede di farla apparire
come appendice dell'op. 21); oppure ancora, come avviene nel n. 4 di
Kreisleriana, quella linea melodica occupa uno snodo centrale, segnando il
cuore meditativo dell'opera.
Se dunque la Novelletta n. 1 è portatrice di un
tipico "messaggio cifrato" allusivo a qualche aspetto recondito e
privato della poetica schumanniana, a maggior ragione lo è l'ottava, la cui
funzione comunicativa in quest'ottica appare ancora più esplicita.
Apoteosi della tripartizione che abbiamo visto essere
largamente diffusa nel ciclo, l'ultima Novelletta può dirsi frutto dell'unione
di tre brani diversi, ciascuno dei quali cerca a suo modo di esprimere una
sintesi dei percorsi fin lì compiuti, una sorta di "morale"
conclusiva della narrazione.
La prima parte in Fa diesis minore (l'unica
tonalità d'impianto minore di tutto il ciclo), quasi presagendo l'imminente
fine di un'esperienza così insolitamente luminosa, si colora di accenti fra il
drammatico e il melanconico non lontani da quelli di certi Studi sinfonici
op.13, tanto che la già segnalata similitudine fra la sua articolazione in
terzine e quella in quartine della prima variazione postuma dell'op. 13 non
sembra affatto casuale. È soprattutto dal punto di vista motivico che questa
prima parte si accredita come punto di approdo del viaggio: il suo tema,
oggetto di varie riletture inverse e procedimenti imitativi, pone la massima
enfasi su una cellula melodica che, in modo più o meno esplicito, compare nel
materiale tematico di tutte le Novellette precedenti, ergendosi così a
importantissimo elemento unificante dell'op. 21, solida prova della correttezza
di un'interpretazione che tenda a considerare quest'opera come ciclo coeso e
non come raccolta di brani staccati. Questa cellula consta di un intervallo di
quinta giusta, invertibile in quarta giusta, seguito e/o preceduto da una
successione di almeno tre gradi congiunti. Essa non deve necessariamente
appartenere al primo o al più importante tema di un brano, né essere
posizionata all'inizio di frase, ma al contrario può anche comparire in sezioni
interne e in temi secondari, o palesarsi a frase già avviata (un analogo metodo
depistante sarà usato per disseminare un frammento motivico ricorrente fra i
cinque movimenti della Sinfonia Renana).
Nella figura seguente sono illustrate le sue
principali apparizioni nelle varie sezioni delle otto Novellette. Come si può
notare la gestione delle sue due componenti è molto libera; l'intervallo di
quinta/quarta può essere oggetto di duplicazione, mentre le successioni di gradi
congiunti sono sì prevalentemente diatoniche, ma non escludono mutazioni cromatiche
o, almeno in un caso, l'allargamento da seconda maggiore a seconda aumentata.
Al pathos dell'episodio in Fa diesis minore si
contrappone con grande senso dell'ironia lo scherzoso intermezzo in Re bemolle
maggiore, denominato Trio I. Stranamente all'esordio della seconda parte della
Novelletta compare l'indicazione Trio II, che sembrerebbe voler mettere sullo
stesso piano formale le due sezioni. In realtà si tratta di due livelli ben
diversi: mentre il Trio I è una sottosezione della prima parte, inclusa fra il nucleo
tematico in Fa diesis minore e la sua ripresa variata, il cosiddetto Trio II
(che segna il ritorno del Re maggiore, tonalità di riferimento da qui al
termine, e quindi tonalità preponderante nell'ambito dell'intero ciclo) si
impone come come il secondo grande "capitolo" della narrazione
finale, totalmente autonomo: il tema in Fa diesis minore non vi riapparirà più,
lasciando il posto a una gioiosa figurazione accordale in ritmo puntato, che di
lì a poco, grazie ad una stupefacente metamorfosi, porterà al culmine di
pregnanza comunicativa della Novelletta, e probabilmente di tutta l'op. 21.
L'esuberanza iniziale del nuovo tema si quieta gradualmente in un lungo
rallentando e diminuendo; gli arpeggi si inabissano nei recessi più riposti di
una sfera interiore ove regna l'immagine di Clara, omaggiata con una citazione dal
Notturno op. 6 n. 2, scritto dalla compositrice nel 1834. Il tema di Clara fa
la sua prima comparsa sugli echi del ritmo puntato che si va spegnendo, poi si
ripete isolato in un breve Adagio, apice contemplativo delle Novellette, in
tutta la sua sconfinata "semplicità" intesa nel significato più
nobile, e paradossalmente complesso, del termina "einfach". È questo
un modo per rammentare esotericamente l'intramontabile stella polare della
creatività schumanniana, anche in un contesto in cui l'ispirazione insegue i
"divertissements" più imprevedibili ed estroversi.
In questi commoventi sussurri che si estinguono
lentamente, quasi cercando di ritardare il più possibile la loro conclusione
definitiva, possiamo scorgere, per così dire, il vero finale delle Novellette, la
meta più cara, importante ed agognata. Certo il cammino è tutt'altro che
concluso: la terza e ultima parte irrompe qui con il suo smagliante turbinio di
idee sempre più incalzanti, a cominciare dal trionfante tema marziale (D) in Re
maggiore, ancora una volta, come già nella Novelletta n. 4, accompagnato dalla
dicitura "munter". Questo aggettivo è degno di una riflessione
specifica, tesa a metterne in luce una fine sfumatura di significato esaltata
dall'impiego lessicale o dai
rivestimenti musicali schumanniani. Di per sé "munter" ha due
accezioni principali: "lieto" e "sveglio". Le sue
ricorrenze nei testi dei Lieder e nelle indicazioni di andamento sembrano
suggerire l'idea di una gioiosità vivace ed estroflessa, ma vigile nel contempo,
non scevra di striscianti inquietudini, non ignara né di possibili ombre incombenti,
né delle fonti da cui può provenire la felicità interiore più autentica.
"Munter" deve ad esempio essere, nella poesia di Eichendorff
"Zwielicht" musicata da Schumann come Lied op. 39 n. 10, l'animo di
chi contempla la dolcezza della luce crepuscolare senza trascurare di notarne
il lato ambiguo, senza dimenticare come in determinati momenti qualsiasi
certezza possa essere messa in dubbio. Nel settimo brano dello stesso sublime
Liederkreis "munter" sono i musicisti che suonano a un corteo nuziale
sul Reno, mentre la sposa versa lacrime inconfessabili pensando a un mitico
cavaliere immortale, eremita nell'ombra dei boschi soprastanti. Pur in assenza
di citazioni esplicite dell'aggettivo, l'identico contrasto fra allegria
esteriore delle musiche di una cerimonia nuziale e tristezza segreta di chi vi
partecipa viene evocato nel Lied op. 48 n. 9 (su testo di Heine), in un vivace
tempo ternario simile al "munter, nicht zu rasch" ("lieto, non
troppo veloce") che dà avvio alla parte terminale dell'ottava Novelletta.
Queste considerazioni possono allora offrire un'interessante chiave di lettura
della frenetica e complessa fase denominata "Fortsetzung und Schluss"
("Continuazione e chiusura"). Compiendone un attento ascolto, appena dopo
il suo nucleo tematico principale esposto nella solita articolazione ternaria
D-E-D saremo subito colpiti dai virtuosismi armonici che in F sembrano
prefigurare i colori tardo-romantici di una certa produzione dell'Europa
orientale, e in G generano fulminee progressioni di vertiginosa arditezza; ci
stupirà poi la travolgente accelerazione di H, fino al momento in cui il tema
di Clara ritorna per l'ultima volta, trasfondendosi mirabilmente nella
reminiscenza della Fantasia op. 17 (sempre a Clara intimamente collegata), e
agendo da centro di simmetria di un percorso che prosegue rapidissimo con la
rivisitazione a ritroso dei motivi di H, per terminare finalmente con l'estrema
ripresa di D-E-D. Tutto questo, nella prospettiva semantica di
"munter", ci apparirà come un rutilante fuoco d'artificio certamente
lieto, ma anche vagamente apotropaico nel voler allontanare ancora per qualche
istante gli oscuri fantasmi che torneranno ad aleggiare nella mente del
compositore; oppure, più semplicemente, potremo interpretare questi bagliori
sfolgoranti come un mezzo per stornare l'attenzione dalla luce tenue e soffusa
della coda della seconda parte della Novelletta n. 8, quasi una luce da coprire
pudicamente, in quanto promanante da una verità troppo segreta per essere
troppo apertamente rivelata.
©
Fabio Grasso - www.fabiograsso.eu